L’arte di Mario Merola è stata multimediale: canzone, teatro, cinema. Ma è soprattutto alla sceneggiata che ha legato la sua fama e la sua grandezza: un teatro dei poveri, un’arte popolare che Merola affrontava con un’adesione e un’autorevolezza totale. Solo negli anni Settanta intellettuali come Goffredo Fofi (qui intervistato insieme a tanti altri: da Nino D’Angelo a Maurizio de Giovanni, da Marisa Laurito a Valerio Caprara) si accorsero di lui: ma non per fare un esercizio di rivalutazione camp, dall’alto. Perché per capire Merola, le sue radici in una cultura e società, secolare, occorre entrare nel suo mondo. Questo fa il documentario biografico di Ferrari, dando comunque spazio anche a operazioni imprevedibili come Westmoreland Naples di Marcello Garofalo, in cui Merola affrontò il mondo di Jean Vigo, Fassbinder e Allen Ginsberg: come sempre, con una credibilità e un’umiltà straordinarie.